Il rapper sudcoreano promuove in Spagna il suo primo album da solista e riflette sul prezzo del successo del K-pop, sulla storia del suo paese e sul collezionismo d’arte.
di Patricia Gosálvez
marzo 2023
traduzione di Koreana
Kim Nam-joon (Seoul, 1994) sembra sinceramente sorpreso che un gruppo di fan lo abbia riconosciuto qualche giorno fa per le strade di Bilbao. “Ti viene da pensare che magari nei paesi piccoli, dall’altra parte del mondo, puoi passare inosservato…”, dice il rapper noto come RM e meglio conosciuto anche come leader dei BTS, la boy band K-pop che in 10 anni frenetici ha infranto tutti i record dell’industria musicale mondiale, anche a Bilbao.
La scorsa estate i sette membri hanno annunciato una pausa per sviluppare progetti solisti e svolgere il servizio militare obbligatorio in Corea. I suoi fan, gli ARMY, 72 milioni solo su Instagram, attendono con impazienza la loro reunion annunciata per il 2025. RM assicura che è così anche per lui.
È venuto in Spagna per promuovere il suo album Indigo (pubblicato a dicembre) e di passaggio ha visitato il Guggenheim, il Thyssen, il Prado, la Fondazione Picasso di Barcellona… “Ho visto moltissimi pezzi di Goya e sono stato affascinato dagli occhi di El Greco, ma il mio preferito è Las Meninas”, dice il rapper. La prima traccia dell’album di questo collezionista amatoriale si chiama Yun, in onore del pittore astratto Yun Hyong-keun. “Lo chiamano il Rothko asiatico, ma quello che mi interessa di lui è soprattutto la sua vita: ha vissuto l’invasione giapponese, la guerra, è stato torturato dal governo, ma non ha mai ceduto. Nel suo lavoro vedo rabbia, tristezza, complessità, bellezza…”.
La canzone si apre con i versi: “Fanculo il trendsetter / me ne torno a quando avevo 9 anni / quando ero più umano”. Il successo stratosferico del K-pop disumanizza l’artista?
La carriera inizia molto presto e come parte di un gruppo. Non c’è molto tempo per essere un individuo, ma è proprio questo a far brillare il K-pop: persone molto giovani, che si sforzano così tanto allo stesso tempo… si genera un’energia che si ha solo quando hai vent’anni. Combatti giorno e notte per perfezionare la coreografia, i video, la musica e c’è un’esplosione, un Big Bang. Dai 20 ai 30 annim abbiamo investito tutta l’energia e il tempo che avevamo nei BTS. Abbiamo ottenuto successo, amore, influenza, potere e poi? La radice di tutto rimane: la musica… Qual era la domanda?
Il sistema disumanizza?
Alla mia azienda non piace come rispondo a questa domanda, perché in parte lo ammetto e poi i giornalisti partono in quarta con “è un sistema orribile, distrugge i giovani!”… Ma questo è parte di ciò che fa questo settore così speciale. E le cose sono molto migliorate, a livello di contratti, soldi, istruzione, ora ci sono gli insegnanti, gli psicologi…
Le etichette discografiche coreane addestrano i loro artisti per anni, hai vissuto con i tuoi coetanei dai 16 ai 19 anni prima di debuttare come BTS nel 2013. Cosa hanno detto i tuoi genitori?
Mia madre ha passato due anni a dirmi: “Torna a studiare, eri così bravo, vai per la tua strada, vai all’università, fai della musica un hobby!”… Ma non sono tornato indetro.
La più grande lezione del tuo tempo come apprendista?
La danza. Ero incapace.
E cosa ti sei è perso per essere un trainee?
La vita universitaria.
Quel culto della giovinezza, della perfezione, dello sforzo eccessivo tipico del K-pop… sono tratti culturali coreani?
In Occidente la gente semplicemente non lo capisce. La Corea è un Paese che è stato invaso, raso al suolo, diviso in due. Solo settant’anni fa non c’era niente. Abbiamo ricevuto aiuti dal FMI e dall’ONU. Ma ora, il mondo intero guarda alla Corea. Com’è possibile, come è successo? Perché le persone lavorano sodo per migliorare. Sei in Francia o nel Regno Unito, paesi che ne hanno colonizzato altri per secoli, e vieni da me con “oh mio Dio, vi mettete così tanta pressione, la vita in Corea è così stressante!”. Beh si. Ecco come si ottengono le cose. Ed è parte di ciò che rende il K-pop così attraente. Anche se ovviamente ci sono delle ombre, tutto ciò che accade molto velocemente e molto intensamente ha effetti collaterali.
Qual è il più grande pregiudizio sul K-pop?
Che è prefabbricato.
Come sarebbe stata la tua carriera se l’avessi sviluppata su un circuito alternativo o in un altro paese?
Penso spesso al multiverso, e la lezione di Doctor Strange è sempre la stessa: la tua versione dell’universo è la migliore possibile, non pensare agli altri. Non c’è niente di meglio che essere un membro dei BTS.
Avevi immaginato questa versione?
Niente affatto. Il mio sogno non era quello di essere un idolo del K-pop. Volevo essere un rapper e, prima ancora, un poeta.
Tra le tue influenze ci sono rapper come Nas o Eminem, gruppi come Radiohead e Portishead, ma non menzioni mai le boy band.
I Beatles erano anche chiamati una boy band… Non ci sto paragonando, loro sono stati i creatori di tutto. Immagino tu intenda NSYNC o New Kids on the Block: band di cui mi piaceva la musica pop, anche se non ero un super fan… Quello che mi ha colpito è stato il rap: ritmo più poesia.
Dici che sviluppi una sorta di gelosia nei confronti di quelli che ammiri. Di chi, ad esempio?
Di Kendrick Lamar, da sempre. E di Pharrell Williams. Lui è una leggenda vivente, e vorrei esserlo anche io, magari in futuro. Per questo non dipingo, essere geloso di Picasso o Monet sarebbe troppo.
Collezioni arte, come scegli i pezzi?
Colleziono solo da quattro anni e sto cambiando. Il mio obiettivo è l’arte coreana del XX secolo. Ma io non sono Getty o Rockefeller…
Non lo fai come investimento.
Garantisco di no. Se volessi investire, comprerei artisti neri, donne, indonesiani emergenti… Il mio obiettivo è aprire un piccolo spazio espositivo tra una decina d’anni, perché penso che Seoul abbia bisogno di un luogo dal gusto giovane, ma rispettoso dell’eredità coreana, nel quale mi pacerebbe portare artisti come Roni Horn, Antony Gormley o Morandi.
Hai sempre avuto la passione del collezionismo?
Ho collezionato giocattoli, automobili o figure di Takashi Murakami, poi abiti vintage, e poi mobili, adoro Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret [entrambi collaboratori di Le Corbusier], ma il mio preferito è George Nakashima.
Nel tuo album ci sono canzoni di generi molto diversi, alcuni critici la chiamano è incoerenza, altri versatilità…
Penso che la parola genere scomparirà in pochi decenni. R&B, Hyperpop, Jersey Club, UK Drill, Chicago Drill, K-pop! Non significano niente. La musica è un accumulo di frequenze che mette le persone in un certo stato d’animo.
Sei stufo del tag “K-“?
Puoi stancarti di essere chiamato K-pop su Spotify, ma funziona. È un francobollo premium. La garanzia di qualità per la quale hanno lottato i nostri nonni.
Anderson .Paak, Youjeen o l’inafferrabile Erykah Badu hanno partecipato al tuo album, come l’hai convinta?
Conosceva i BTS perché sua figlia è una fan, ma non è bastato. Ho dovuto convincerla, le ho inviato un messaggio con la storia di Yun in cui spiegavo perché avevo bisogno della sua saggia voce da regina per quei versi.
A volte mescoli inglese e coreano nel mezzo di un fraseggio, come decidi?
Le parole in lingue diverse hanno trame diverse; lo stesso messaggio, con una pennellata diversa. Mi viene naturale. Non suono strumenti, compongo e creo melodie con la mia voce, che è il mio strumento e la maggior parte delle mie canzoni iniziano con le parole.
Hai anche attraversato varie identità, come rapper adolescente eri Runch Randa, già nei BTS Rap Monster e poi in RM (per Real Me). Hai mai pensato di usare il tuo vero nome?
[Ride] Abbiamo tutti un passato, una “storia nera”, diciamo in Corea. Runch Randa era il mio soprannome in un gioco di ruolo, poi volevo essere, sai, “un rap monster!”, poi sono cresciuto… preferisco che il mio nome sia conosciuto da meno persone possibile, non sono John Lennon, Paul McCartney, posso fare il check-in in un hotel tranquillamente e mi piace.
Anche il tuo modo di vestire è cambiato molto.
Ho indossato per molto tempo le magliette XXL e i cappellini da baseball. Poi mi sono appassionato di marchi high end… Come Rap Monster avevo iniziato ad indossare solo solo bianco e nero [Alza gli occhi al cielo e alza le spalle]. Adesso mi interessa l’atemporalità, non mi interessano le tendenze, cerco jeans vintage, magliette di cotone, cose naturali, che non gridino “ehi, sono qui!”.
Si vocifera che collaborerai con Bottega Veneta, sei appena stato invitato al loro show, a Milano.
Mi piacerebbe. Anche se ho perso interesse per i marchi, le settimane della moda e quel continuo cambio di Pantone… Bottega è diversa, non usano loghi, hanno una storia di tessuti e pelle, non hanno nemmeno Instagram, sono oltre la moda.
Quanto pesa trascinare un’armata di fans?
Non puoi camminare in mezzo al nulla senza essere riconosciuto e soppesato in base agli standard a cui sei soggetto. Ma devi crescere e affrontare tutto ciò, non dispiacerti per te stesso ed evitare di pensare “oh, voglio solo essere normale!”. Guarda, se vuoi pensare che la fama sia una roccia, allora è una fottuta roccia; ma mi ha dato quello che stavo cercando: influenza e libertà finanziaria il più velocemente possibile per fare la musica che voglio senza preoccuparmi delle classifiche… non sono ancora arrivato, ma cerco di concentrarmi sul rumore interno, non esterno.
E come affronterai i trent’anni?
Non ho mai vissuto un periodo così confuso. Per un decennio sono stato il leader dei BTS, ed è stato molto stabile e divertente, sempre in salita. Nel 2023 sono cambiate molte cose, a livello professionale e personale, che non posso raccontare. Ora sto per compiere i 30 anni, mi piaccio più di quando ne avevo 20. Ora passerò un anno e mezzo nell’esercito, che è una cosa molto importante nella vita di ogni uomo coreano. E dopo, sono sicuro che sarò un essere umano diverso, si spera migliore e più saggio.