La morte di Moonbin, membro degli ASTRO che ha lasciato questo mondo qualche giorno fa – al momento inspiegabilmente – a soli 25 anni, ha colpito tutti moltissimo.
Al di la dell’umana tristezza per la dipartita di un’anima così giovane e bella, quel che mi ha lasciata molto spiazzata è stata la reazione del pubblico. La maggior parte delle persone, di certo non aiutate da una stampa assai poco obbiettiva, ha deciso, in maniera del tutto arbitraria e senza il suffragio di alcuna notizia certa (che non c’era allora così come non c’è ora), che il giovane cantante si era tolto la vita e che il motivo sarebbe stato un trattamento non umano da parte della sua agenzia, la FANTAGIO.
Una premessa importante prima di procedere: non è in alcun modo mia intenzione spostare l’attenzione dal tema della salute mentale degli idol, che sicuramente è un argomento su cui è necessario tenere puntati i riflettori e di cui non è mai il caso di smettere di parlare. La salute mentale è importante, per tutti, sempre, soprattutto per persone molto giovani che sono sottoposte ad una mole spesso non sana di stress e di attenzione.
Detto questo, e proprio per questo, la domanda che mi pongo è la seguente: quand’è che noi tutt* capiremo che questa pretesa di conoscere tutto, di sapere tutto di un idol, persino come ha lasciato questo mondo, è parte del problema? E quando, quindi, proveremo a risolvere questa cosa?
Penso che la morte di Moonbin abbia fatto emergere che la nostra capacità di gestire le emozioni è talmente fuori controllo che pur di esprimere qualcosa, pur di poter elaborare qualcosa secondo pattern che riusciamo a riconoscere, siamo pront* a inventare e alimentare storie che esistono solo nella nostra testa. Per puntare il dito – subito. Per trovare subito un colpevole, un capro espiatorio. Per poter condividere una narrativa forte, arrabbiarci, sconvolgerci, stracciarci le vesti. Ho visto cadere in questa trappola moltissime persone, anche quelle che so avere le migliori intenzioni ed essere solitamente più analitiche.
Io credo che a questo punto sia necessaria una riflessione collettiva. Uno dei problemi di questi ragazzi, ormai riconosciuto da tutti i fandom, è proprio l’essere schiavi di un’immagine che viene loro imposta. Dover rispondere ad aspettative che sono spesso troppo limitanti, restrittive, francamente irrealistiche.
I fan chiedono, i fan ottengono.
Non fumare, perché nel mio immaginario non fumi. E così per il resto: non bere, non uscire con nessuno, non mangiare troppo, non mangiare troppo poco, non andare a ballare, non usare parole inappropriate, non fare un passo di troppo, né uno indietro perché nel mio perfetto immaginario tu sei come voglio io.
E poi ancora: pubblica, scrivi, produci, veloce, ora, subito!
E se muori, muori come dico io, perché nel mio immaginario tu sei morto ed è la tua agenzia ad essere colpevole, il “sistema” è colpevole, i “poteri forti” sono colpevoli.
“Poteri forti”… “sistema”… Cosa c’è dietro? Non è una cosa complessa. Dietro c’è la banalissima legge della domanda e dell’offerta.
Sappiamo tutt*, vero, cosa si cela dietro l’exhaustion? Dietro gli svenimenti, dietro i pianti, dietro i mille comeback all’anno, dietro i “sono stanco”, le subunit, le collab, il merch co-progettato, i mille progetti laterali ecc…
Ci siamo noi. Noi, i fandom, con le nostre richieste, con le nostre pretese. Noi, la “domanda”, il “potere forte”. Noi, croce e delizia dei nostri artisti, invischiati assieme, ormai senza speranza, in questo sistema in cui per dimostrare l’amore, il rispetto, la devozione si mettono in atto una serie di azioni apparentemente “innocue” (es. comprare 3485789 copie dello stesso album, della stessa canzone, costringere i nostri Spotify o iTunes a maratone settimanali di meravigliose playlist che, spoiler, NON ASCOLTIAMO PER TUTTO IL TEMPO!) ma in realtà completamente disfunzionali.
Questo sistema crea un glitch per cui gli artisti stessi non riescono più a farci la tara. Lo ha detto anche j-hope prima del Lollapalooza che aveva bisogno di capire chi fosse “oltre Army”, se la sua musica potesse avere un impatto anche su altri.
Ci sarebbe da chiedersi poi quanto tempo ci vorrà prima che questa mancanza di feedback realistici sulla loro arte inizi ad avere ripercussioni sull’arte stessa. Pensateci: se OGNI cosa che fate venisse portata in palmo di mano e valorizzata in maniera – possiamo dire – sproporzionata, questo non avrebbe un peso sulla vostra creatività? Non abbatterebbe in maniera significativa i vostri stimoli? Io credo sia una possibilità concreta, soprattutto nella lunga distanza. Dovremmo ricordarci che oltre le classifiche, oltre questa “guerra” senza esclusione di colpi per far emergere il proprio artista, c’è un umano che ha bisogno di vivere la sua vita al meglio delle proprie possibilità. E un artista, che ha bisogno di capire che direzione artistica prendere, di capire di cosa parlare e con chi sta parlando davvero. Ma questa è una storia a parte.
Potremo – e mi auguro che sarà così – non sapere mai il motivo per cui Moonbin è morto. Non sapremo mai se “il sistema” è una delle cause. Quello che sappiamo per certo è che non conosciamo nessuno degli idol. E che per lasciarli liberi, per favorire la loro salute mentale, dobbiamo smettere di creare attorno a loro – persone E artisti – interi universi fittizi, costruiti con le nostre aspettative esagerate e le nostre proiezioni emotive. Anche, e vorrei dire soprattutto, quando queste riguardano la loro morte.