Sono passate solo poche ore da quando è uscito il secondo MV estratto dall’album Layover di V (BTS), “Rainy day”, e la mia curiosità è stata nuovamente stuzzicata dalla scelta inusuale della location. Si sa, l’architetto, anche quello paesaggista, perde il pelo ma non il vizio.
Entrambi gli MV rilasciati fino ad ora, “Love Me Again” uscito il 9 agosto e “Rainy Day” uscito per l’appunto quest’oggi, sono stati filmati in Spagna; il primo all’interno delle Grotte del Drago (Cuevas del Drach), nell’isola di Maiorca, il secondo nell’attico della Torres Blancas di Madrid, noto a chi studia storia dell’architettura come esempio di architettura brutalista spagnola ma non solo, come vedremo in seguito. Spagna, dunque, in entrambi i casi, quasi a voler sottolineare l’appartenenza europea dell’anima di V, al secolo Kim Taehyung.
Non mi soffermerò nel commentare i dettagli dei singoli MV, poiché ciò esula dalle mie competenze; troverete sicuramente qualcuno più titolato di me che possa accompagnarvi nella lettura dei simboli contenuti all’interno di essi. Il mio ruolo oggi sarà quello di introdurvi ai due siti, così che lo sfondo su cui vengono dipinte le immagini presentate da V possano apparirvi più familiari e comprensibili.
Andiamo con ordine quindi e partiamo dal primo MV, quello di “Love Me Again”, filmato all’interno delle Grotte del Drago.
Lungo la costa orientale dell’Isola di Maiorca, nell’arcipelago delle Baleari, a circa 60 km dalla capitale Palma di Maiorca, nei pressi della località di Porto Cristo, si sviluppa un sistema di grotte lungo circa 1200 metri, collocato a 25 metri sotto il livello del mare, adornato da migliaia di stalattiti e stalagmiti. Le grotte del Drach si compongono di quattro bellezze della natura, chiamate Grotta Nera, Grotta Bianca, Grotta di Luis Salvador e Grotta dei Francesi. Sono tutte collegate tra loro e costituiscono uno dei grandi patrimoni della zona.
La comunità scientifica ritiene che queste grotte si siano formate durante l’era glaciale, tra gli 11 e i 5 milioni di anni fa, grazie alla presenza concomitante di un clima più caldo e resti di barriere coralline e gusci di organismi marini depositati sui fondali. Le rocce sono quindi di composizione calcarea e si dissolvono facilmente per l’azione erosiva delle precipitazioni meteoriche, che filtrano attraverso fessure nel terreno, portando alla formazione di caverne e laghi. Le stalattiti e stalagmiti presenti al suo interno, crescono tra i 0,2 e 1,6 millimetri all’anno (pari a circa 1 centimetro ogni 100 anni).
Queste grotte, fin dalla loro scoperta, rappresentano un modello mondiale per lo studio dei fenomeni carsici. Inoltre, sono oggetto di numerose ricerche su gli effetti delle esalazioni delle acque termali attraverso le fessurazioni del terreno.
La storia di queste grotte si perde nella notte dei tempi: i primi reperti storici risalgono a un periodo compreso tra l’età del bronzo e quella del ferro. Tuttavia, la prima traccia di queste grotte all’interno di un documento scritto risale al 1338, all’interno di una missiva scritta dall’allora governatore dell’isola.
La prima rappresentazione cartografica invece, risale addirittura al 1784, quando vennero per la prima volta incluse nella mappa dell’isola di Maiorca, a cura del cardinale Despuig.
Sarà solo nel 1878 che le grotte divennero conosciute, a seguito della scomparsa di alcuni ricercatori catalani al loro interno.
I dispersi vennero recuperati vivi, ma non seppero spiegare per quanto si estendessero le caverne, tant’è che nel punto massimo da loro raggiunto, incisero nella roccia “non c’è speranza”.
In seguito, nel 1895, le grotte vennero citate all’interno dell’opera di Jules Verne “Clovis Dartetor”. Uno dei capitoli narra delle meraviglie dell’isola e descrive le Cuevas del Drach agli occhi del viaggiatore con le seguenti parole: “considerate le più belle del mondo, con i loro laghi leggendari, le cappelle di stalattiti, le pozze d’acqua limpida e fresca, il loro teatro, il loro inferno, nomi fantastici se volete, ma che meritano le meraviglie di queste immense strutture sotterranee!”
Nel 1896, colui che a ragione è considerato il padre della speleologia moderna, il francese Edouard Alfred Martel, durante delle esplorazioni, scoprì nuove grotte e quello che si sarebbe rivelato, ancora oggi, il più grande lago sotterraneo al mondo, il lago Martel, che oggi porta il suo nome. In quell’occasione, lo speleologo disegnò una nuova mappa delle grotte, includendovi le nuove scoperte.
Una nota speciale la merita il lago Martel. Come appena detto, questo lago è ancora oggi il più grande bacino sotterraneo al mondo, con i suoi 170 metri di lunghezza, 30 metri di larghezza e 9 metri di profondità. Diverse sono le peculiarità che lo caratterizzano. Prima tra tutti la presenza di acqua leggermente salata, che denuncia un rapporto con il mar Mediterraneo, pur non essendo ancora stato scoperto un collegamento diretto; il lago è soggetto a marea, che è condizionata non solo dalla luna ma anche dal vento. Inoltre, la colorazione del lago cambia al variare della sua profondità: un fondale di circa 3 metri presenta una colorazione verde, mentre quando supera gli 8 metri diventa blu. Infine, se bianco, significa che il fondale è all’incirca di un metro.
Il lago è impreziosito da un gioco di luci ideato nel 1935 dall’ingegnere Carles Buïgas, noto come “il mago della luce”. Il progetto, basato su un sistema di illuminazione elettrica, consiste in 100.000 watt di illuminazione ricreata grazie all’impiego di 630 metri di cavo sottomarino, che attraversa tutto il lago. L’opera, che prende il nome di “Alba sul lago” emula il sorgere del sole, andando a illuminare la grotta a forma di anfiteatro. Questa, che può ospitare fino a 1100 persone, è ulteriormente arricchita dall’esecuzione di un concerto di musica classica della durata di 10 minuti, con melodie di Chopin, Mozart e Caballero.
La particolare conformazione delle grotte, fa si che il suono si diffonda in maniera uniforme e che anche le note più delicate siano perfettamente udibili, conferendo al tutto una atmosfera quasi onirica e naturalmente dorata, proprio come durante un’alba.
L’ingegnere ha sempre sostenuto che questa sia la sua opera meglio riuscita.
Continuiamo parlando della location del secondo MV, “Rainy Day”, le cui riprese sono state fatte all’interno della Torres Blancas di Madrid.
All’inizio di questo articolo vi ho anticipato come quest’opera di architettura sia nota quale esempio dell’architettura brutalista di Madrid, ma non è tutto quello che si può dire di lei.
Iniziamo però con il ricordare cosa sia l’architettura brutalista.
Aprendo Wikipedia, alla pagina “Brutalismo” si legge: “Il Brutalismo è una corrente architettonica, nata negli anni cinquanta del Novecento in Inghilterra, vista come il superamento del Movimento Moderno in architettura”. Giusto, ma non è tutto qui.
Il nome viene coniato per la prima volta nel 1955, quando The Architectural Review pubblica un articolo di Reyner Banham, dal titolo The New Brutalism. Il temine prende spunto dall’Art Brut di Jean Dubuffet, ma soprattutto dal beton brut, il cemento armato lasciato a vista che ha la sua prima celebrazione monumentale nell’Unitè d’Habitation di Marsiglia del celebre Architetto Le Corbusier.
L’aspetto fondamentale dell’architettura brutalista è che ha come principio cardine la funzione degli edifici e la forza delle forme rispetto all’estetica. La funzionalità dell’edificio, ovvero l’Utilitas, e la sua capacità di elevarsi, la Firmitas, concetti di derivazione vitruviana, vengono prima del terzo enunciato che nelle teorie di Vitruvio componevano l’opera architettonica ideale, ovvero la Venustas, la bellezza. Questa corrente è vista come una sorta di Risorgimento dell’architettura moderna, poiché porta con sé la voglia di ricostruire che ha caratterizzato il dopo guerra europeo, concentrandosi su case, chiese, università, e sull’architettura civile. Il desiderio di riscatto e rinascita ha spinto gli architetti del tempo, fino agli anni Settanta, a progettare edifici enormi, monumentali, andando a definire anche il concetto moderno di “architettura partecipata”. Dopo la distruzione, la paura e le separazioni causate dalla guerra, era indispensabile ritrovare un sentimento di appartenenza ed aggregazione, motivo per cui il Brutalismo divenne lo stile architettonico per eccellenza delle opere ad uso civile.
Gli edifici sono progettati e realizzati insieme a chi li avrebbe poi vissuti; sono opere scarne, grezze se vogliamo, ma costituite da una spiccata sincerità, che non punta a nascondere dietro a finiture raffinate l’aspetto reale dei materiali e i loro difetti. Vi è nella progettazione una spontaneità che non deriva da un processo artistico, bensì dalla rudezza intenzionale di ciò che si mostra semplicemente per quello che è. Qualcosa che non fa più riferimento ai canoni estetici armonici, ma piuttosto abbraccia un’estetica che non si cura del risultare gradevole. Siamo di fronte a un atteggiamento compositivo che non è per nulla compiaciuto di sé. Potremmo quasi affermare che nell’architettura brutalista, l’etica viene prima dell’estetica.
Il Brutalismo cerca di fronteggiare la società della produzione di massa traendo una rude poesia delle forze potenti e confuse che sono in giro. Finora si è discusso del brutalismo stilisticamente, ma la sua essenza è etica.
[Thoughts in progress: the New Brutalism, in “Architectural Design, 1957]
Per realizzare le architetture aderenti a questo movimento, infatti, vengono utilizzati materiali industriali e grezzi, specialmente il cemento a vista, e forme imponenti e massicce, motivo per cui dopo un primo periodo di successo il brutalismo è stato fortemente criticato, tanto da diventare il simbolo di quello che non funziona in una città.
La Torres Blancas, sito per le riprese dell’MV di “Rainy Day” di V, non solo si inserisce in questo panorama architettonico, ma sconfina nella contemporaneità più assoluta con la sua struttura, nella misura in cui la vogliamo leggere come una antenata del celeberrimo Bosco Verticale di Milano, vincitore nel 2014 del premio come grattacielo più bello del mondo.
La Torres Blancas venne progettata nel 1961 da Francisco Javier Sáenz de Oiza e commissionata da John Huarte; l’edificio doveva essere costruito in due esemplari, ma ne venne realizzato solo uno. Sáenz de Oiza e la sua squadra, hanno progettato una torre che rompesse le convenzioni tipiche dell’architettura residenziale. Completata nel 1969, questa opera in cemento armato a vista si eleva per 71 metri sullo skyline di Madrid. È anche una delle strutture in cemento armato più complesse e innovative dell’epoca, priva delle tipiche qualità rettilinee associate al calcestruzzo gettato in opera, che convenzionalmente caratterizzavano l’architettura Brutalista. L’aggettivo “Blancas” non è riferito in alcun modo al colore, che è il tipico grigio delle architetture di questo genere, bensì sembrerebbe un omaggio al purismo razionalista di Le Corbusier.
L’associazione con il Bosco Verticale di Milano, così come l’assoluta contemporaneità di quest’opera, risiedono nel desiderio del progettista di realizzare un edificio alto che potesse crescere in maniera organica, proprio come un albero. È così che i grandi cilindri che lo compongono diventano il tronco, scale ed ascensori con il loro sviluppo verticale si presentano come vene in cui scorre idealmente la linfa, e le grandi terrazze circolari del tetto, che originariamente ospitavano un ristorante e una piscina, si dispongono come a emulare una chioma. La struttura non presenta pilastri portanti, ma sfrutta totalmente i muri circolari ancorati al terreno, come vere e proprie radici. Sebbene concettualmente la torre fosse concepita come una città sviluppata in altezza, la densità abitativa non risulta eccessiva, poiché ad ogni piano sono presenti solo 4 unità abitative, caratterizzate da ampie metrature e balconi e terrazzi circolari.
L’architetto guarda a due grandi figure dell’Architettura del ‘900, ovvero l’americano Frank Lloyd Wright e il francese Le Corbusier. Dal primo Oiza riprende il concetto delle forme organiche, mentre dal secondo l’idea del tetto giardino. Il risultato è una sintesi strettamente personale delle due tendenze, che riconosce il valore di opera maestra del Brutalismo spagnolo.
A oltre cinquant’anni dalla sua inaugurazione, la Torres Blancas è un’opera che testimonia il coraggio di un’epoca, un’architettura provocativa che è a diritto un’icona senza tempo.
Avevo detto che non mi sarei cimentata in interpretazioni dei simbolismi contenuti nei due MV, ma alla luce di quanto scritto fin qui, due ipotesi le vorrei azzardare: in primo luogo, le Grotte del Drago, con il loro aspetto surreale, appartenente quasi a un modo alieno e da sogno, ben si sposano con l’atmosfera onirica suggerita dalle note di “Love Me Again”. V canta della speranza di poter essere nuovamente amato da chi lui stesso ama. Un sogno per l’appunto.
La Torres Blancas invece, con le sue linee compositive aderenti a uno stile che vedeva nella sincerità della composizione un aspetto da perseguire, senza nascondere i difetti dei materiali, ben si sposa con le strofe cantate da V, dove vengono messi a nudo i suoi sentimenti e la sua consapevolezza. L’interprete non ha paura di affermare di non essere perfetto.
Vorrei ringraziare V e quanti insieme a lui hanno lavorato per poter ambientare i suoi MV all’interno di questi due capolavori dell’arte, sia naturale che antropica.Gr