Marianna Baroli @ ARIRANG sulla guerra di Corea, la DMZ e su come siamo stati gli “eroi nascosti”.

Quella che segue è la traduzione dell’intervista rilasciata da Marianna Baroli, giornalista di Panorama e La Verità, ad ARIRANG TV il 1 agosto 2024.

L’ospite è la giornalista Dianne Daeun Han: troverete le sue parole in corsivo.

Oltre 340.000 soldati provenienti da 16 Paesi membri delle Nazioni Unite hanno rischiato la vita per difendere la Corea del Sud e la democrazia durante la Guerra di Corea. I loro nobili sacrifici hanno contribuito a trasformare la Corea del Sud nella nazione che è oggi e il loro contributo continua a risuonare a distanza di sette decenni. Per onorare la loro eredità, il governo sudcoreano ha invitato i giornalisti di cinque Paesi che hanno partecipato alla guerra per sottolineare la pace e la prosperità costruite sulla dedizione dei veterani di guerra coreani.

Per saperne di più sul programma speciale che commemora il 71° anniversario dell’accordo di armistizio, abbiamo invitato in studio uno di questi giornalisti. Senza ulteriori indugi, diamo il benvenuto a Mariana Baroli del settimanale italiano Panorama: grazie per essere venuta!

Grazie a voi per averci invitato!

Sei stata invitata dal Ministero della Cultura coreano come giornalista di una nazione che ha partecipato alla guerra di Corea. Che significato ha per voi questo viaggio?

È incredibilmente significativo per noi – onestamente non mi aspettavo questo invito –  sono rimasta così stupita nel leggere il motivo per cui sarei venuta qui. Ogni volta che si parla di storia c’è qualcosa che viene tralasciato e dimenticato o che non viene raccontato appieno, quindi mi sono detta: “Oh, questa è una rara occasione per raccontare anche in Italia cosa è successo davvero in quel periodo”, quindi sono molto onorata di essere qui e devo ringraziare tutti.

Dobbiamo impegnarci al massimo per far sì che tutti i nobili sacrifici degli eroi caduti non vengano mai dimenticati, giusto?

Assolutamente.

Questo programma speciale organizzato dal Ministero della Cultura fa parte degli sforzi per fare proprio questo. L’Italia è spesso definita l’eroe nascosto della Guerra di Corea. Ci parli della partecipazione dell’Italia, di chi è stato inviato qui e di quali erano le sue missioni?

Certo! L’Italia è l’eroe nascosto perché stavamo uscendo dalla Seconda Guerra Mondiale, è stato un periodo incredibilmente difficile, duro per tutti. Tutti stavano ancora cercando di riprendersi e di scoprire quale fosse la vita reale.

[Giusto! (Era) non molto tempo dopo il 1946].

Sì, esattamente, e così quando ci fu la guerra di Corea, la gente non ne sapeva nulla. Poi qualche giornale iniziò a parlarne: “Sta succedendo qualcosa in Oriente, forse potete andare ad aiutare!” e la Croce Rossa disse “Oh, ci piacerebbe farlo!”. Sono state cercate persone in tutto il Paese, volontari da inviare in Corea del Sud e… era incredibile! Dovevano viaggiare per un periodo molto lungo e nel mentre ricevere istruzioni di base per, sai, l’aiuto primario o la creazione di un ospedale da zero e tutto il resto. Ecco perché credo che per l’Italia entrare in un’altra guerra… sia stato difficile, a livello politico. Stava uscendo da un periodo davvero difficile. La missione era fondamentalmente quella di aiutare le persone qui, di curare le persone, ma mi è stato detto che l’Italia ha fatto di più. È stato fantastico, perché ha rafforzato le relazioni tra i nostri Paesi.

a Yongsan
a Yongsan

Secondo i dati storici, l’équipe di medici italiani ha curato oltre 7.300 pazienti e oltre 220.000 se si includono tutti i pazienti ambulatoriali. È assolutamente straordinario e vorrei cogliere l’occasione per esprimere la mia più profonda gratitudine. All’epoca, però, l’Italia non era un Paese membro dell’ONU. Infatti, fu l’unica nazione non membro dell’ONU a partecipare alla guerra di Corea. Cosa pensi che abbia spinto il team di volontari medici italiani ad affrontare – come hai detto – il lungo e potenzialmente pericoloso viaggio verso un Paese asiatico?

Il viaggio in nave durava un mese. Penso che sia stato perché essere feriti profondamente da una guerra ha fatto capire cosa possono provare le altre persone, quindi probabilmente la Croce Rossa in quel momento ha capito che doveva fare qualcosa di più, non rimanere ferma a guardare quello che stava succedendo, ma agire e inviare alcune persone in Corea del Sud. Hanno costruito qui uno dei più grandi ospedali. Mi è stato detto che qui a Seul sono stati costruiti 68 ospedali della Croce Rossa. Ho incontrato alcune delle persone che sono state curate in quell’ospedale e mi hanno detto che se non fosse stato per le nostre persone – e alcuni di loro in Italia erano elettricisti o panettieri o facevano altri lavori – non sarebbero qui adesso, e questo è stato davvero incredibile da ascoltare.

Mi sono imbattuta in un’interessante intervista con l’unico sopravvissuto del team italiano di volontari medici, il suo nome è Gianni Riboldi e nell’intervista ha detto che quando ha sentito la notizia dalla Croce Rossa, ha voluto immediatamente, senza esitazione, unirsi all’iniziativa umanitaria e ho pensato che fosse davvero stimolante.

Il Ministero della Cultura ha organizzato un tour stampa per i giornalisti di cinque Paesi, cinque dei molti Paesi che hanno partecipato alla guerra di Corea e ho sentito che anche tu hai avuto la possibilità di osservare la DMZ. Ci parli dei luoghi che hai visitato e di come ti sei sentita a poter testimoniare in prima persona questa dolorosa divisione?

Mi sono imbattuta per la prima volta nella DMZ e nella divisione tra Corea del Sud e Corea del Nord in Italia, durante il G7. Ero stata invitata a una mostra in cui erano esposte molte croci fatte con il filo spinato che divide la Corea del Nord dalla Corea del Sud, in un’incredibile chiesa di Roma. Era uno dei miei sogni, diciamo così, visitare la DMZ e testimoniare con i miei occhi la divisione. Quando ho visto il filo spinato e (ho sentito) il silenzio… tutti portano rispetto quando guardano la Corea del Nord e ascoltano le storie del dispaccio militare lì… È incredibile. Penso che sia qualcosa che tutti dovrebbero fare almeno una volta nella vita. È un’esperienza che forma le persone.

Non ne sappiamo molto, perché si sa che la storia a un certo punto fallisce sempre, ma…

Siamo geograficamente molto lontani…

Sì, siamo geograficamente molto lontani, ma credo che ora stia crescendo l’interesse nei confronti della Corea del Sud, sentiamo di doverne sapere di più e penso che visitare la DMZ e tutte le aree aperte ai turisti sia una delle cose che la gente dovrebbe fare una volta nella vita.

Per quanto riguarda l’approfondimento della storia coreana, ne parleremo in dettaglio man mano che andremo avanti, ma prima ho saputo che hai incontrato anche prigionieri di guerra e veterani della guerra di Corea. Hai qualche storia particolare e memorabile di questi incontri che vorresti condividere?

È stato molto doloroso parlare con loro, perché quando si guarda a una persona che ha sofferto così tanto, che ha vissuto la guerra e che ha visto morire molte persone intorno a sé, si può vedere il dolore nei suoi occhi, ancora adesso anche se sono passati molti anni. Per esempio, ho parlato con uno dei veterani e mi ha raccontato che quando era in Corea del Nord, era tenuto prigioniero lì: “A un certo punto avevo 60 anni e mi sono detto che dovevo tornare a casa mia, non importava a quale costo, voglio finire la mia vita lì, anche gli animali tornano nella loro tana (per morire), voglio essere protetto a casa mia, voglio sentirmi sicuro a casa mia” e questo è stato molto doloroso da sentire, potevo vedere la tristezza nei suoi occhi. Un’altra storia è quella della figlia di uno dei soldati italiani che abbiamo inviato qui. Mi ha raccontato che a casa ha molti cimeli di suo padre e uno di questi è questo piccolo dizionario che lui ha fatto mentre tornava in Italia, dove scriveva le parole coreane, la loro pronuncia e la traduzione in italiano perché non voleva dimenticarne nessuna. Mi ha raccontato che continuava a leggerlo e a mostrare alla gente questo piccolo dizionario, era così importante per lui non dimenticare la lingua, era diventato così legato alla Corea del Sud… lei mi ha detto: “Non ho mai capito bene perché. Solo visitando il posto qualche anno dopo l’ho capito, e ora so perché mio padre ha agito così”.

Sono storie incredibili. Molti sudcoreani sono immuni a questi ricordi dolorosi. Ma di tanto in tanto, quando visitiamo il confine o quando sentiamo queste storie dai veterani di guerra, proviamo anche noi un profondo dolore.

Ora, il Ministero dei Patrioti e degli Affari dei Veterani e il Ministero dell’Unificazione hanno tenuto un incontro con la stampa estera per discutere la strategia di unificazione delle anime e la politica della Corea del Nord. Ha contribuito ad approfondire la tua comprensione dell’unificazione e delle divisioni delle due Coree?

Molto. Onestamente molto. Come ti dicevo, i nostri libri di storia non raccontano molto di questa guerra. (Durante la visita) ci hanno spiegato alcuni dettagli chiave che mi hanno aiutato a capire quanto sia stata difficile, dolorosa, lunga e folle questa situazione. Sapete, si vive dall’altra parte del mondo e si vede quello che succede intorno a noi, ma di solito ci si dimentica che c’è qualcosa di più al di fuori del proprio Paese. So che ora il Ministero sta creando dei libri di storia per spiegare alle nuove generazioni cos’è stata la guerra di Corea.

Il Ministero in Italia?

No, il Ministero qui in Corea del Sud, sta collaborando con i centri culturali di tutto il mondo, questo è un passo davvero molto importante, credo, è qualcosa che dovrebbe essere raccontato di più.

C’è un’informazione particolare, un contesto storico o una politica che le è rimasta più impressa?

Incontrare i patrioti è stato molto intenso. Vedere i loro occhi e i loro sguardi e sapere quanto si sentono ancora così legati a questo Paese anche se vivono in giro per il mondo – sono sparsi in tutto il mondo, ma tornano sempre in Corea. Ho potuto salutare alcuni di loro. Non ci sono più italiani ora, quindi ho salutato persone provenienti dalle Filippine e dalla Turchia,…  ho detto loro quanto fossimo grati (di vederli), e loro ci hanno detto: “Siamo sempre felici di tornare in Corea perché la Corea è la nostra seconda casa, è la casa che abbiamo costruito”. E’ stato davvero di grande impatto.

Sai, spesso tendiamo a dimenticarlo, ma se ci pensi, centinaia di migliaia di soldati hanno rischiato la loro vita, sacrificandola per un Paese lontano di cui forse non avevano nemmeno mai sentito parlare, …

… lasciando magari la propria famiglia a casa e dimenticandosi di loro perché avrebbero potuto non tornare mai più… questo è davvero doloroso.

Non dovremmo mai dimenticare i sacrifici degli eroi caduti. Ora, prima ne hai parlato brevemente, ma quanto si sa in Italia delle iniziative di pace della Corea del Sud e dei suoi sforzi per evidenziare la dolorosa realtà della divisione delle due Coree?

Credo non molto fino a qualche anno fa, ma ora che il k-pop sta crescendo, così come la scena dell’intrattenimento coreano, in molti si interessano sempre di più alla Corea del Sud, studiano di più, iniziano magari con qualcosa di, diciamo, divertente e di intrattenimento, ma poi approfondiscono il legame con questo Paese. Ecco perché continuo a dire alle persone che dovrebbero sempre visitare la Corea e leggere di più su questo Paese prima di visitarlo. Non c’è solo il lato divertente, bisogna conoscere anche quello doloroso, per capire meglio come siamo arrivati qui, a questo punto. Non sappiamo ancora molto, ma spero di poter contribuire a far capire meglio la guerra di Corea e le tensioni che ancora ci sono.

Con due giovani militari al Typhoon Observatory

Guerra di Corea 70 anni dopo, più di 70 anni dopo, e le due Coree sono ancora tecnicamente in guerra, con un’escalation di tensioni a livelli pericolosi negli ultimi mesi. Come giornalista di un Paese che ha partecipato alla guerra di Corea, come vedi la situazione attuale?

Continuo a guardare i telegiornali e mi tengo aggiornata ogni giorno su questo tema, perché penso che non dovremmo mai sottovalutare queste tensioni. Al momento si tratta solo di palloncini, di qualcosa che potrebbe sembrare più uno scherzo, ma potrebbe non esserlo. Quindi penso che dovremmo saperne di più e continuare a leggere e studiare e tenerci informati su ciò che sta accadendo qui, nonostante tutto, perché è davvero importante riconoscere ciò che sta accadendo e come sta vivendo il Paese che amiamo. Quindi continuo a guardare tutti i telegiornali, a leggere e a tenermi aggiornata, anche attraverso gli amici che ho qui, chiedo loro notizie e cerco di diffonderle anche in Italia.

Bene, passiamo a una nota più leggera e spostiamo l’attenzione sul tuo affetto per la cultura coreana. Abbiamo saputo che sei stata la prima giornalista italiana a intervistare un K-pop Idol e che detieni il record di oltre 100 interviste con star del K-pop in meno di due anni. Come è nato il tuo interesse per la cultura coreana e per il K-pop?

Fin da molto giovane ho sempre avuto un debole per l’intrattenimento orientale. Mi sono imbattuta in alcuni brani musicali, ma non sapevo che si trattasse di K-pop, a dire il vero. Poi sono incappata in una serie televisiva, “Boys over flowers”, un kdrama con Lee MinHo. Era così difficile da guardare in Italia perché, sai, avevamo bisogno dei sottotitoli e c’erano solo alcuni fan che sottotitolavano, quindi dovevamo aspettare a lungo per vedere un episodio. Così il primo impatto – credo in modo naturale – è stato con la musica, che è sempre stata una parte preponderante, perché sai i BIG BANG li sentivi qua e là, anche i 2PM o le Girls’ Generation… musica che tutti hanno sentito almeno una volta nella vita. E poi all’improvviso, quando si è diffuso COVID, ho detto al mio caporedattore che volevo provare a parlare di più della Corea del Sud, perché pensavo che fosse arrivato il momento di concentrarsi su questo anche qui in Italia, e lui mi ha detto “ok, fallo, abbiamo bisogno di qualcosa di leggero, qualcosa che ci faccia sorridere”. Così ho puntato su HYBE, … lo so, lo so, ho puntato in alto, ma sono andata subito su HYBE e mi sono collegata con i BTS, e siamo stati i primi giornalisti italiani invitati a una loro conferenza. Era una conferenza online per via del COVID, ma è stata molto significativa per noi, e poi abbiamo iniziato a collaborare con tutte le agenzie e ho intervistato attori e attrici, K-pop star, quasi tutti i miei preferiti. È stato strano, è stato bizzarro, ma anche sorprendente, ed è qualcosa di cui sono davvero orgogliosa.

Hai anche scritto un libro sulla Corea in collaborazione con il Centro Culturale Coreano di Roma. Facci un’introduzione e dicci qual è il messaggio chiave del libro.

Quando mi hanno detto che avevo vinto un concorso con il Ministero della Cultura qui a Soul per scrivere un libro sulla Corea del Sud per il pubblico italiano, ho pensato: “Oh, e ora da dove inizio?”. Sai, ci sono un sacco di libri sulla Corea del Sud, un sacco di guide turistiche, un sacco di gente che dice cosa dovresti fare, cosa dovresti vedere, ma io ho pensato “Non voglio essere una di quelle persone, non voglio dire agli altri cosa fare”. Invece, ho creato un dizionario, perché è la prima cosa che impariamo a usare quando siamo giovani, sai… si apre un dizionario e si cercano le parole per scoprirne il significato… Così mi sono detta: “Ok, creiamo qualcosa che vada dalla A alla Z, e vediamo alcuni punti chiave, parole chiave, del K-pop ma anche della cultura, del cibo, del beauty e dei viaggi”, quindi ho scelto alcune città e selezionato alcuni luoghi, ma anche alcune parole dello slang come “palli palli” o cose che siamo abituati a sentire nei k-drama o nelle canzoni, ma di cui forse non conosciamo il significato. Spero quindi che il mio libro sia qualcosa che si possa leggere quando si è annoiati, basta aprirlo ed è pagina 15 e c’è una parola e si pensa “oh, vediamo cosa significa questa parola” e ci si collega a qualcos’altro, si crea una connessione e si può conoscere un po’ meglio la cultura e questa lingua straordinaria che è il coreano.

Speriamo che il viaggio in Corea del Sud di questa volta le abbia offerto diverse ispirazioni e approfondimenti. Quali sono i suoi progetti futuri per rimanere in contatto con la Corea del Sud?

Ho alcune interviste che farò presto, alcune grandi, altre piccole, ma come sempre tutte molto significative. Tornerò in Corea credo prima della fine dell’anno, voglio stare qui qualche settimana. Poi abbiamo l’idea di portare più Corea in Italia, c’è in ballo un progetto con un sacco di persone molto interessanti a Milano, legate alla moda e al mondo della musica, per creare una connessione ancora più profonda tra i nostri Paesi, perché siamo così simili eppure così distanti, il che è un po’ folle perché tutti dicono che la Corea è l’Italia dell’Est… quindi voglio fare la mia parte e sfruttare di più le mie connessioni per approfondire le nostre relazioni. Spero che questo progetto vada in porto e che io possa tornare molto presto.

Bene! Tutti noi di ARIRANG faremo il tifo per lei e le auguriamo la migliore fortuna in tutte le sue imprese future. Grazie mille per essere venuta oggi.

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